I potenziali evocati: un valido ausilio nella diagnostica delle malattie neurologiche

I potenziali evocati rappresentano un gruppo eterogeneo di indagini elettrofisiologiche, il cui scopo è quello di verificare la corretta trasmissione dell’impulso nervoso all’interno di uno o più sistemi motori o sensoriali. In sostanza, tramite l’impiego di apparecchiature elettroniche (amplificatori) e personal computers, i potenziali evocati ci danno importanti informazioni sulla capacità del nostro sistema nervoso periferico e centrale di ricevere, trasmettere ed elaborare determinati stimoli.

Nel momento in cui viene stimolata, ad esempio, la superficie della pelle di una mano, mi aspetto di trovare una determinata risposta a livello della corteccia cerebrale: tali risposta deve avvenire entro canoni di normalità sia per quanto riguarda la latenza (ovvero il ritardo tra stimolo alla mano e registrazione in corteccia) e l’ampiezza. Quest’ultima ci dà idea della “potenza” del segnale trasmesso, un po’ come avverrebbe con una trasmissione radio.

Nel caso in cui lungo il percorso è presente un ostacolo (ad esempio un processo infiammatorio dei neuroni, una lesione, una compressione, una cicatrice ecc.) l’impulso arriverà in ritardo, esattamente come potrebbe fare un’automobile che, sulla via della destinazione, vada incontro a dei lavori stradali.

Che informazioni possono dare i potenziali evocati?

I potenziali evocati sono indagini talora trascurate dagli specialisti, dato che vengono visti come un qualcosa di ormai obsoleto. Se è vero che le recenti indagini strumentali (come la risonanza magnetica) hanno permesso di anticipare, e di molto, la diagnosi di alcune malattie, è vero che non tutte sono individuabili con esami a carattere morfologico. Ecco perchè, al persistere del sospetto diagnostico, è opportuno procedere su entrambi i fronti.

A differenza della risonanza magnetica, che fornisce informazioni a carattere strutturale, i potenziali evocati sono indagini di tipo funzionale: la prima ci dice “come è fatta” una determinata struttura, mentre i secondi, come illustra il Dott. Davide Borghetti in una pagina dedicata, ci dicono “come funziona”.

Come avviene la stimolazione?

Il tipo di stimolo utilizzato varia in base al distretto che vogliamo investigare. Per un esame delle vie visive sarà opportuno impiegare uno stimolo luminoso, quale un flash intenso; per le vie uditive sarà utilizzato un suono (tono puro), per la sensibilità utilizzeremo delle piccole scosse elettriche sulla pelle.

Diverso, invece, è il discorso per una indagine destinata alle vie motorie: in questo caso è necessario procedere in senso inverso, ovvero stimolare a livello della corteccia motoria, eccitando la superficie del cervello, andando poi a recuperare l’impulso in periferia, su uno o più gruppi muscolari. Se la stimolazione diretta della corteccia è possibile in sede intraoperatoria, nella normale routine si utilizzano degli stimolatori magnetici, capaci di indurre, in un soggetto sveglio e collaborante, una momentanea attivazione della corteccia.

I potenziali evocati somatosensoriali o PESS

Come già accennato, lo stimolo viene somministrato in periferia sotto forma di un breve impulso elettrico, facilmente sopportabile. L’impulso corre dunque lungo le principali vie nervose periferiche (ad esempio n. ulnare o n. mediano per gli stimoli all’arto superiore) e da qui arriva alle radici della colonna vertebrale (cervicali, sempre nel caso di uno stimolo alla mano). Da qui, risalendo lungo il midollo, raggiungerà infine la corteccia cerebrale. Malattie o condizioni anche molto diverse tra loro possono provocare una anomala conduzione dell’impulso: traumi a livello dei nervi periferici (cadute, compressioni o sezioni del nervo), radicolopatie (infiammatorie, da ernia discale, ecc.), lesioni midollari (traumi, stenosi del canale, ernie grossolane, processi infiammatori) o a livello della sostanza bianca (processi infiammatori quali la sclerosi multipla, eventi ischemici ecc.).

I Potenziali Evocati Uditivi (PEA o BAEPS)

In questo caso lo stimolo è rappresentato da un breve suono (molto simile ad un “bip”) che viene somministrato più volte a livello di una delle due orecchie. Il suono mette in vibrazione il timpano che, tramite la catena degli ossicini, stimola le cellule nervose dell’organo di senso. Da qui l’impulso viene condotto dal n. acustico sino al tronco encefalico, e da qui alla corteccia. Analogamente a quanto avviene con i PESS, esistono molte condizioni patologiche diverse capaci di causare una anomalia nella trasmissione dell’impulso. La prima, e più ovvia, è legata a difetti dell’orecchio (lesioni del timpano, sclerosi della catena degli ossicini ecc.) o dell’organo di senso (danni all’organo dell’udito, pregresse infezioni). Sulla base della sede del ritardo, è possibile individuare lesioni del n. acustico (come nel caso dei neurinomi), del tronco encefalo o della corteccia (lesioni infiammatorie, vascolari). E’ indubbiamente uno degli esami più semplici, almeno per Paziente, e ben tollerati.

I Potenziali evocati visivi

La stimolazione avviene per mezzo di rapidi e successivi flash luminosi o, in alternativa, con una scacchiera luminosa a caselle bianche e nere di dimensioni variabili. Lo stimolo luminoso eccita le cellule della retina: queste inviano l’impulso nervoso lungo il nervo ottico verso la corteccia, incontrando prima strutture come il chiasma ottico. Anche in questo caso, sulla  base della sede del rallentamento è possibile identificare precocemente numerose malattie, come processi infiammatori a carico del nervo ottico, del chiasma, delle radiazioni ottiche (come avviene nel caso delle malattie demielinizzanti, che frequentemente esordiscono con una neurite) o ancora lesioni corticali come eventi vascolari.